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Allestimento di Antares |
© ANTARES Collaboration
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La mattina del 18 novembre verr? inaugurata a La Seyne-sur-Mer, vicino Tolone, la stazione Antares: un pionieristico rivelatore di neutrini cosmici di alta energia frutto di una collaborazione internazionale che vede coinvolti ricercatori italiani dell?Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) e ricercatori francesi, tedeschi, olandesi, inglesi, spagnoli e russi. Alla cerimonia interverranno Claudie Haigner?, ministro delegato alla Ricerca e alle Nuove Tecnologie, Guido Possa, vice ministro dell?Istruzione, dell?Universit? e della Ricerca, ed Enzo Iarocci, presidente dell?Infn.
Il progetto Antares (Astronomy with a Neutrino Telescope and Abyss Environmental RESearch) ? iniziato sette anni fa con l?obiettivo di costruire un apparato per rivelare neutrini cosmici di altissima energia. I neutrini sono le particelle pi? abbondanti nell?universo dopo i fotoni e la Terra ne ? ininterrottamente bersagliata: basti pensare che in un secondo attraverso la punta di un dito ne passano ben 60 miliardi! Tuttavia essi sono estremamente difficili da rivelare, perch? interagiscono solo debolmente con la materia che attraversano e dunque lasciano rarissime tracce del proprio passaggio. Di conseguenza, per studiare i neutrini di origine cosmica occorre innanzitutto utilizzare rivelatori posti in ambienti schermati dal ?rumore di fondo? prodotto dalla pioggia di altre particelle provenienti dallo Spazio che investono il nostro pianeta. I luoghi ideali sono dunque le viscere delle montagne (come il Laboratorio del Gran Sasso dell?Infn, posto sotto 1400 metri di roccia e particolarmente adatto per lo studio dei neutrini di bassa energia) o gli abissi marini.
?Antares ? allestito a 50 chilometri dalle coste francesi, a una profondit? di circa 2.400 metri. L'apparato si avvale di un lungo cavo sottomarino che collega la sala di controllo dell'esperimento, collocata a terra, a una vasta rete di 1.000 sensori subacquei. Quest?ultima, quando sar? completata entro 2-3 anni, permetter? di tenere sotto osservazione un volume d'acqua di 35 milioni di metri cubi?, spiega Carlo De Marzo, il fisico italiano che coordina gli oltre 40 ricercatori dell'Infn coinvolti in Antares, ?una piccolissima percentuale dei neutrini che attraversano la Terra interagisce con l'acqua delimitata dai sensori sottomarini, producendo particelle secondarie dette muoni. I muoni si propagano nell'acqua a una velocit? superiore a quella che la luce ha in tale mezzo e, per un meccanismo fisico noto come effetto Cerenkov, generano un debole bagliore di luce lungo la loro traiettoria, la quale viene amplificata da un sistema di fotomoltiplicatori e quindi registrata dai rivelatori?. Nell?aprile del 2003 le apparecchiature di Antares hanno cominciato a raccogliere dati e a trasmetterli a terra: un evento che ha rappresentato un primo grande successo per il telescopio sottomarino. In seguito queste apparecchiature sono state parzialmente recuperate per le necessarie ispezioni. L?esperienza acquisita con la prima raccolta di dati ? stata messa a frutto per migliorare il progetto, che viene ora inaugurato ufficialmente.
Le ricadute scientifiche e tecnologiche che la astronomia dei neutrini effettuata con rivelatori sottomarini promette per il futuro sono notevoli. Quasi tutte le informazioni che abbiamo sull'universo derivano dall'osservazione delle onde elettromagnetiche che provengono dagli strati esterni dei corpi celesti, ma quasi nessuna informazione ci giunge dal loro interno. I neutrini invece hanno una bassissima probabilit? di venire assorbiti dalla materia e dunque possono arrivare indisturbati direttamente dal cuore delle sorgenti. Possono cos? essere chiarite la struttura e il funzionamento di stelle di neutroni, buchi neri, nuclei galattici attivi o altri oggetti di interesse astrofisico, compreso lo stesso centro della Via Lattea. Inoltre la necessit? di realizzare i rivelatori in ambienti del pianeta schermati il pi? possibile dai rumori di fondo, quali gli abissi marini, impone lo sviluppo di nuove tecnologie o il miglioramento di quelle esistenti: dagli apparati di trasmissione via cavo di grandi masse di dati all'hardware e al software necessari per la loro gestione e analisi, dai robot impiegati per la messa in opera e la connessione delle strutture sul fondo marino ai sistemi di controllo remoto.
In un primo tempo si calcola che grazie ad Antares sar? possibile osservare circa 2000 neutrini all?anno, per la maggior parte prodotti da interazioni fra i raggi cosmici e l?atmosfera terrestre. Il loro studio permetter? di approfondire le conoscenze sulle propriet? fondamentali di queste particelle e ci? rappresenter? un primo importante risultato per la fisica (nel frattempo, la stazione funzioner? anche da osservatorio sottomarino multidisciplinare, accogliendo fra l?altro sonde di temperatura e salinit?, correntometri, rivelatori di bioluminescenza e sismografi). ?Per rispondere a domande di pi? ampio respiro, ad esempio per tracciare una mappa dettagliata delle principali sorgenti cosmiche di neutrini ad alta energia, sar? tuttavia necessario uno strumento pi? importante. Antares rappresenta quindi una tappa fondamentale verso la realizzazione quest?ultimo. Il super telescopio che verr? dopo Antares coprir? un volume di oltre 1 chilometro cubo e dovrebbe essere realizzato in Italia, al largo delle coste siciliane, da una costituenda collaborazione internazionale che operer? presso i Laboratori Nazionali del Sud dell'Infn. Presso questi laboratori ? gi? stata realizzata una stazione di prova situata a 25 chilometri al largo del porto di Catania, a circa 2.000 metri di profondit?. Qui sono sottoposte a verifica componenti e tecnologie per la costruzione del futuro telescopio per neutrini, chiamato progetto Nemo. Questo strumento potr? osservare principalmente i neutrini provenienti dall'emisfero australe, ma sar? affiancato nelle sue ricerche da un rivelatore sottomarino americano, che coprir? invece l'emisfero boreale: ? il telescopio Icecube, di cui esiste gi? il primo nucleo, Amanda, affondato nei ghiacci antartici?, spiega Emilio Migneco, direttore dei Laboratori Nazionali del Sud.
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