Intervista a Faïçal Azaïez, Direttore dei Laboratori Nazionali di Legnaro dell’INFN
Acceleratori di particelle, rivelatori di radiazioni, attività di trasferimento tecnologico: la complessa macchina dei Laboratori Nazionali di Legnaro affronta sfide in vari campi, dalla fisica e l’astrofisica nucleare alle ricerche interdisciplinari, ed è affidata, dal 2023, a Faïçal Azaïez. Già Direttore dell’Istituto di Fisica Nucleare di Orsay in Francia e del Laboratorio iThemba per la Scienza Basata sugli Acceleratori in Sudafrica, Azaïez ha obiettivi molto chiari per la direzione dei Laboratori di Legnaro: fare di questi Laboratori nazionali un punto di riferimento mondiale per la scienza e la tecnologia. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare il presente, ma soprattutto il futuro di questo centro per la fisica nucleare di bassa energia.
Lei è stato nominato Direttore dei Laboratori Nazionali di Legnaro (LNL) nel 2023. Com’è stato il suo primo anno da Direttore? Ha incontrato le sue aspettative?
È andato ben oltre le mie aspettative! Non ho mai trovato un ambiente di lavoro così positivo e collaborativo come quello che ho trovato all’INFN e ai LNL. Poi dal punto di vista del mio incarico e del lavoro da svolgere, avevo un’idea piuttosto chiara di cosa aspettarmi. Deve immaginare la fisica nucleare come una famiglia, dove tutti i membri si conoscono. E io non sono solo parte di questa famiglia in quanto fisico nucleare, ma ho anche avuto molte opportunità di scambio diretto con l’INFN nel corso degli anni. Quando ero Direttore dell’Istituto di Fisica Nucleare di Orsay, a Parigi, ho interagito molto con i Laboratori Nazionali del Sud e i Laboratori Nazionali di Legnaro dell’INFN. E mentre ero responsabile del Laboratorio sudafricano iThemba, articolato nelle strutture di Città del Capo e Johannesburg, ho firmato un Memorandum of Understanding con l’INFN. Ho fatto poi parte di molti comitati scientifici che valutano l’attività dei laboratori di fisica nucleare, e dell’organizzazione NuPECC (Nuclear Physics European Collaboration Committee), un comitato che coordina tutti i laboratori nazionali di fisica nucleare e adronica in Europa; quindi la mia conoscenza dell’INFN, e di Legnaro in particolare, è molto solida. Quando sono stato nominato Direttore, sapevo già che le principali sfide dei Laboratori Nazionali di Legnaro erano legate a un progetto ambizioso, SPES (Selective Production of Exotic Species), concepito circa quindici anni prima.
Che cos’è SPES? Quali sono i suoi obiettivi?
La fisica nucleare si pone un obiettivo principale: riuscire a descrivere questo insieme correlato di neutroni e protoni che chiamiamo nucleo. Esistono centinaia di nuclei e migliaia di isotopi, perché ogni nucleo può mantenere un numero fisso di protoni e variare nel numero di neutroni, formando diverse configurazioni note come isotopi. Per capire e descrivere questi nuclei, costruiamo teorie che possano determinare la massa e la vita media di un nucleo e la struttura interna dei suoi isotopi. Tuttavia, è un compito incredibilmente arduo, che i fisici nucleari affrontano da molti decenni senza trovare una soluzione esaustiva. La difficoltà nasce da una delle quattro forze fondamentali: l’interazione forte. Questa forza è responsabile del legame tra protoni e neutroni. È al centro della fisica degli adroni, e allo stesso tempo svolge un ruolo cruciale nella ricerca in fisica nucleare che si pone l’obiettivo di descrivere nuclei e isotopi. Ma perché è così importante raggiungere questo obiettivo? Perché è la chiave per svelare come si creano gli elementi nell’universo. Si spiegherebbe come, dopo il Big Bang, i protoni e i neutroni si sono formati e combinati per dare origine agli elementi che osserviamo oggi, come il carbonio-12, un isotopo stabile. Perché non il carbonio-11 o il carbonio-13? Perché soltanto la configurazione stabile “vive” per sempre, quelle instabili decadono nel tempo a seconda delle loro proprietà intrinseche. La comprensione della formazione degli elementi, che sono elementi chimici, rivela molto sulla nostra stessa esistenza. Per esempio, il carbonio, di cui siamo fatti anche noi, si crea attraverso la fusione simultanea di tre nuclei di elio (particelle alfa). Questo processo è avvenuto all’inizio del ciclo di vita delle stelle, che è il motivo per cui spesso si dice che siamo fatti di “polvere di stelle”. Svelando come sono stati creati gli elementi, acquisiamo una conoscenza più approfondita dell’evoluzione dell’universo e, in ultima analisi, di noi stessi. Con questo obiettivo in mente, SPES produrrà nuclei instabili e ne studierà le proprietà per integrarle in modelli teorici. La produzione di questi nuclei instabili avviene attraverso l’uso di fasci di ioni instabili, un metodo utilizzato anche in Giappone, Stati Uniti, Canada, Francia, Germania e Finlandia. In passato, la ricerca in fisica nucleare si basava sull’utilizzo di ioni stabili accelerati. Tuttavia, è diventato presto evidente che questo metodo limitava l’accesso ai nuclei esotici e altamente instabili che si formano nelle stelle. Di conseguenza, i ricercatori hanno spostato la loro attenzione sulla produzione e l’utilizzo di isotopi rari e instabili, che ci avvicinano alla comprensione delle condizioni presenti nei primissimi momenti della creazione dell’universo.
Gli obiettivi sono davvero ambiziosi: qual è la strategia che lei, come Direttore, ha messo a punto?
Facciamo un passo indietro, a quando sono arrivato a Legnaro. SPES, ma anche altri progetti basati sulla stessa tecnologia, erano piuttosto in ritardo, e per me la sfida era sviluppare una strategia per procedere in modo efficiente e spedito verso il completamento di SPES, continuando al contempo a rafforzare e aggiornare i Laboratori, e a massimizzare la loro produzione scientifica, sia di base sia applicata, con fasci di ioni stabili esistenti e nuovi. L’INFN ha sempre creduto nel progetto SPES e lo ha supportato in modo eccellente. Perciò si è trattato principalmente di implementare l’organizzazione del lavoro e identificare e assegnare il personale, attingendo all’interno dei laboratori sia le competenze scientifiche sia tecnologiche. Per riuscire nell’intento, ho messo in atto una strategia molto semplice, la stessa che si adotta quando si va a fare la spesa: si fa una lista prima di entrare al supermercato, in modo da non sprecare energia e ottimizzare tempo e denaro. Allo stesso modo, abbiamo definito un elenco di azioni nel tempo con la loro descrizione dettagliata, così da raggiungere l’obiettivo in un approccio per fasi. Avendo un numero limitato di ricercatori e di personale tecnico, abbiamo bisogno che seguano una linea d’azione ben definita, lungo la quale muoversi in modo efficiente, senza dispersioni e tempestivamente. Non possiamo permetterci di avere molti gruppi che avanzano in parallelo e in parti diverse del progetto. Abbiamo piuttosto concentrato le risorse umane per lavorare e consegnare il progetto fase dopo fase: una volta completata la prima, tutti passano alla seconda, e così via, fino alla quinta e ultima. Con questa strategia la fase 1 è stata completata in sei mesi e ora anche la fase 2 è quasi completata. La fase 2 è stata suddivisa in due sottofasi, di cui la fase 2A, la “proof of concept”, ha portato al raggiungimento dell’obiettivo più importante e impegnativo del progetto: il primo fascio di ioni instabili prodotto da SPES. Si è trattato di inviare un fascio di protoni su un bersaglio di carburo di silicio per innescare un’interazione da cui si sono originate altre particelle rispetto al fascio in arrivo, ovvero molti ioni di vari isotopi. Da lì, questo fascio di ioni secondari è stato estratto e trasportato a una stazione sperimentale allestita all’esterno del bunker d’irraggiamento, dove gli ioni prodotti sono stati misurati e identificati. Ora l’intero sistema – il bersaglio, il trasporto e l’identificazione – è stato ultimato, e siamo già entrati nella fase 2B, una fase in cui trasporteremo questo fascio di ioni a vita media da un punto vicino al bersaglio di produzione a linee di fascio molto complesse destinate agli utenti futuri. Il completamento della fase 2 è previsto per marzo 2025, dopodiché si procederà con la fase 3, la fase 4 e la fase 5.
C’è una fase che la preoccupa più delle altre?
Sì, la fase 4, che è anche la più vicina al mio cuore. Consiste nella produzione di radioisotopi per scopi medici, più precisamente per la diagnosi e la cura del cancro, ed è la fase con l’impatto più immediato per la società. Le altre, legate alla ricerca di base, comportano uno sforzo congiunto da parte degli scienziati per predisporre ed eseguire una lunga serie di esperimenti, mentre la fase 4 potrebbe avere risultati tangibili in breve tempo. Al momento, non disponiamo ancora dell’infrastruttura necessaria e siamo nel processo di progettazione e reperimento dei componenti, che richiederà del tempo per essere completato. Così come richiederà del tempo l’ottemperare alle pratiche amministrative per il rilascio delle licenze e autorizzazioni che sono obbligatorie per questo tipo di impianti d’irraggiamento. Per produrre isotopi utili per la medicina, e più specificamente per la diagnosi e la terapia del cancro, dobbiamo irradiare dei bersagli. Questi bersagli devono poi essere sottoposti a molti processi chimici per estrarre, da molti altri isotopi prodotti, solo quelli utili ai nostri scopi. Per il momento, non abbiamo la capacità di trattare i bersagli in casa. Pertanto, ciò che vorremmo fare è fornire alle aziende radiofarmaceutiche la materia prima, ossia i bersagli irradiati presso il nostro impianto SPES, con l’obiettivo di accelerare la ricerca e quindi introdurre nuove procedure e trattamenti nel sistema sanitario.
Approfondiamo la questione dei radioisotopi per uso medico: come funzionano?
I radioisotopi che intendiamo sviluppare e fornire al settore medico sono davvero innovativi, come per esempio quelli denominati teranostici – da tera per terapia e nostici per diagnostica – che saranno utilizzati per la diagnostica e la terapia allo stesso tempo. Durante la fase 4 del progetto SPES, dobbiamo quindi trovare, tra tutti gli isotopi che produciamo, quelli con potenziale teranostico, e poi identificare i migliori tra loro. Una volta identificati quelli rilevanti per l’uso medico, per la diagnostica, per la terapia, o per entrambe, dobbiamo studiare come produrli nel modo più efficiente (ovvero ottenendo il maggior numero di isotopi nel minor tempo possibile), e poi trasferire questi radioisotopi all’industria. Ma da dove incominciamo? Dai nuclei instabili. Questi hanno molti modi per decadere: possono emettere una particella alfa, una particella beta – che è un elettrone o un positrone (un elettrone con carica positiva) – e una radiazione gamma. Quando emettono gamma o positroni, possono essere utilizzati per la diagnostica medica. Come? Certamente non iniettando questi radioisotopi nel corpo così come sono, perché si diffonderebbero ovunque, rendendo impossibile raccogliere informazioni utili. Ma se riuscissimo a isolarli e a darli a un biologo o una biologa molecolare, potrebbe attaccarli a una molecola (generalmente chiamata label o carrier) che li conduca all’organo desiderato all’interno del corpo. In questo modo, ci assicuriamo che i radioisotopi si dirigano verso zone specifiche, dove avviene il loro decadimento e quindi l’emissione di radiazioni. Se poi il radioisotopo decade per emissione di positroni, una coppia di raggi gamma di uguale energia e direzione opposta viene prodotta dall’interazione tra il positrone emesso e gli elettroni presenti negli atomi del nostro corpo; e identificando i punti esatti in cui vengono rilevati i due raggi gamma, è possibile creare immagini altamente precise o scansioni PET (Tomografia a Emissione di Positroni) della regione in cui i radioisotopi si trovavano nel corpo, e dunque osservare le aree con attività anomala, che potrebbero indicare un cancro. Ma se l’isotopo emette solo raggi gamma (e non positroni), il processo è leggermente più complesso. In questi casi, si utilizzano collimatori posti in direzioni diverse per dedurre la direzione, la posizione e le dimensioni della regione del corpo in cui si trovavano i radioisotopi. Dunque, è così che positroni e gamma vengono utilizzati per la diagnostica medica. Allo stesso tempo, alcuni isotopi non emettono solo positroni o gamma, ma anche particelle alfa o elettroni di bassa energia, che vengono impiegati per la terapia. Le particelle alfa viaggiano all’interno del corpo entro una distanza molto breve, il che significa che possono uccidere una cellula tumorale mirata senza danneggiare le cellule sane circostanti. Gli elettroni viaggiano più lontano e quindi possono uccidere sia la cellula cancerogena bersaglio che alcune cellule sane vicine. In entrambi i casi, l’energia delle radiazioni emesse distrugge le cellule, il che le rende utili per il trattamento del cancro.
Per riassumere, gli isotopi con queste proprietà possono svolgere sia attività diagnostiche (tramite positroni o raggi gamma) che terapeutiche (tramite particelle alfa o elettroni), come dicevamo teranostici. Il nostro ruolo è quello di individuare quali hanno queste caratteristiche e di capire come produrli, come separarli dagli altri radioisotopi prodotti, e poi, in collaborazione con i biologi molecolari, come trasformarli in radiofarmaci attaccandoli alla giusta molecola. A questo punto, si passa dai radioisotopi ai radiofarmaci, che come tali devono essere prelevati da radiologi e medici per gli studi clinici e la convalida.
Un’ultima domanda: qual è il suo augurio per il futuro dei Laboratori e per lei come Direttore?
Mi auguro di contribuire al completamento del progetto SPES, perché il successo di SPES darà nuova linfa ai Laboratori. Attirerà ricercatori dal resto d’Italia e dal mondo, e segnerà l’inizio di un nuovo entusiasmante capitolo. Per me, come Direttore e come fisico nucleare, sarebbe una grande soddisfazione professionale partecipare a questo importante risultato, e farò tutto il necessario per portarlo a termine quanto prima.