Il modello standard della cosmologia, chiamato anche modello Lambda-CDM, è il più semplice quadro teorico in grado di fornire una buona descrizione di tutti i fenomeni cosmologici osservati con soli 6 parametri liberi. Il modello prevede in particolare l’esistenza e le caratteristiche del fondo cosmico a microonde, delle oscillazioni acustiche dei barioni, delle strutture su larga scala nella distribuzione delle galassie, l’abbondanza degli elementi leggeri, l’espansione accelerata dell’universo (dovuta alla costante cosmologica Lambda).
Nel modello, si assume la validità del principio cosmologico (l’universo è omogeneo e isotropo su grandi scale), della teoria della relatività generale su distanze cosmologiche e del modello standard delle particelle elementari. L’universo descritto dal modello ha origine dal Big Bang, seguito da un periodo di inflazione cosmica in cui l’universo ha una espansione esponenziale. Si assume inoltre l’esistenza di una materia oscura non barionica, fredda (ovvero con una velocità molto minore di quella della luce all’epoca dell’equilibrio tra radiazione e materia) e con interazione solo gravitazionale per spiegare diversi fenomeni gravitazionali osservati in strutture su larga scala, come le curve di rotazione delle galassie e l’effetto di lente gravitazionale degli ammassi galattici.
Nonostante i grandi successi ottenuti, in particolare con le misure del fondo cosmico a microonde, alcune osservazioni recenti non sono in completo accordo con le previsioni del modello Lambda-CDM e potrebbero indicare la necessità di riconsiderare le assunzioni fatte o di modificare il modello. La più nota è la cosiddetta “tensione di Hubble”: la determinazione della costante di Hubble (che misura la velocità di espansione dell’universo) ottenuta analizzando i dati del fondo cosmico a microonde nell’ambito del modello Lambda-CDM è in parziale disaccordo con quella ottenuta dalle misure fatte a partire dalle stelle e dalle galassie dell’universo locale. Per questa divergenza sono state proposte diverse spiegazioni, tra le quali la presenza di “nuova fisica” non descritta dal modello standard cosmologico.
La teoria della relatività generale, pubblicata da Albert Einstein nel 1915, è uno dei capisaldi della fisica moderna. È una teoria che descrive le interazioni gravitazionali, generalizzando e superando la precedente teoria di Isaac Newton, elaborata quasi tre secoli prima.
Quella del Big Bang è la teoria scientifica sull’origine del cosmo attualmente più accreditata: postula che il nostro universo abbia avuto origine circa 13,8 miliardi di anni fa da uno stato estremamente caldo e denso, e che da allora si sia espanso in modo sostanzialmente continuo.
L’universo è costantemente attraversato da particelle elementari e subatomiche, che viaggiano nello lo spazio ad altissima velocità. Molte di queste arrivano sulla Terra, portando con sé informazioni molto preziose sui fenomeni astrofisici che le hanno prodotte.
Le onde gravitazionali sono increspature dello spaziotempo prodotte da grandi masse in moto accelerato nel corso di violenti fenomeni astrofisici, come per esempio eventi di fusione tra coppie di buchi neri o stelle di neutroni.
Il 17 agosto 2017, una coalescenza di stelle di neutroni avvenuta nella galassia NGC 4993 (a circa 130 milioni di anni luce da noi) è stata osservata contemporaneamente dagli osservatori di onde gravitazionali LIGO e Virgo e da numerosi telescopi elettromagnetici (dalle onde radio fino agli energetici raggi gamma) in tutto il mondo.
I buchi neri sono tra gli oggetti cosmici più affascinanti e misteriosi. Furono ipotizzati per la prima volta nel 1916, un anno dopo la pubblicazione da parte di Albert Einstein della sua teoria della relatività generale, quando l’astronomo tedesco Karl Schwarzschild presentò la prima soluzione esatta delle equazioni della teoria, note come “equazioni di Einstein”.
La materia oscura è una forma di materia invisibile ai telescopi, che non emette radiazione elettromagnetica e la cui (presunta) esistenza è oggi rilevabile soltanto in modo indiretto, attraverso i suoi effetti gravitazionali.
Le osservazioni sulle velocità delle galassie raccolte da Edwin Hubble, negli anni Venti dello scorso secolo, hanno dimostrato che il nostro universo non è statico ma in espansione, fornendo una delle prime prove solide a favore della teoria del big bang.