La materia oscura è una forma di materia invisibile ai telescopi, che non emette radiazione elettromagnetica e la cui (presunta) esistenza è oggi rilevabile soltanto in modo indiretto, attraverso i suoi effetti gravitazionali. Benché ipotizzata per la prima volta già nel 1933 dall’astronomo austriaco Fritz Zwicky, la materia oscura è entrata seriamente nel dibattito scientifico solo a partire dagli anni settanta, grazie alle osservazioni della galassia di Andromeda raccolte dagli astronomi statunitensi Vera Rubin e Kent Ford: i due scienziati misurarono la velocità di rotazione delle stelle alla periferia della galassia, trovando un valore sorprendentemente alto rispetto alle previsioni della gravità di Newton. La spiegazione più plausibile dell’anomalia era ammettere l’esistenza di una forma di materia non visibile, detta appunto “oscura”, il cui contributo (sommato a quello della materia ordinaria) avrebbe spiegato la velocità misurata.
All’indomani della scoperta di Rubin e Ford, l’ipotesi della materia oscura è diventata via via sempre più popolare nella comunità scientifica, anche grazie ad altre evidenze indirette che vanno oltre il solo problema della velocità di rotazione delle galassie. Oggi l’abbondanza attesa della materia oscura è nota con precisione: sarebbe pari a circa l’85% della massa complessiva dell’universo e al 27% del bilancio massa-energia.
Negli scorsi decenni i fisici teorici hanno proposto una grande quantità di modelli che tentano di spiegare la materia oscura: uno dei più popolari prevede l’esistenza delle cosiddette WIMP (weakly interacting massive particles), particelle ipotetiche relativamente pesanti e debolmente interagenti che, per diverse ragioni, avrebbero caratteristiche quasi perfette per costituire la materia oscura.
Parallelamente, sono stati realizzati numerosi esperimenti via via più complessi e sensibili dedicati alla ricerca delle WIMP e di altri candidati di materia oscura: alcuni tra i più importanti a livello mondiale, come DAMA e XENON, sono ospitati ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN.
A oggi non sono state raccolte evidenze dell’osservazione di WIMP o di altre possibili particelle di materia oscura: se da un lato la comunità intende proseguire gli sforzi sperimentali con esperimenti ancora più sensibili, dall’altro si stanno iniziando a considerare più seriamente anche ipotesi alternative alla materia oscura.
La teoria della relatività generale, pubblicata da Albert Einstein nel 1915, è uno dei capisaldi della fisica moderna. È una teoria che descrive le interazioni gravitazionali, generalizzando e superando la precedente teoria di Isaac Newton, elaborata quasi tre secoli prima.
Il modello standard della cosmologia, chiamato anche modello Lambda-CDM, è il più semplice quadro teorico in grado di fornire una buona descrizione di tutti i fenomeni cosmologici osservati con soli 6 parametri liberi.
Quella del Big Bang è la teoria scientifica sull’origine del cosmo attualmente più accreditata: postula che il nostro universo abbia avuto origine circa 13,8 miliardi di anni fa da uno stato estremamente caldo e denso, e che da allora si sia espanso in modo sostanzialmente continuo.
L’universo è costantemente attraversato da particelle elementari e subatomiche, che viaggiano nello lo spazio ad altissima velocità. Molte di queste arrivano sulla Terra, portando con sé informazioni molto preziose sui fenomeni astrofisici che le hanno prodotte.
Le onde gravitazionali sono increspature dello spaziotempo prodotte da grandi masse in moto accelerato nel corso di violenti fenomeni astrofisici, come per esempio eventi di fusione tra coppie di buchi neri o stelle di neutroni.
Il 17 agosto 2017, una coalescenza di stelle di neutroni avvenuta nella galassia NGC 4993 (a circa 130 milioni di anni luce da noi) è stata osservata contemporaneamente dagli osservatori di onde gravitazionali LIGO e Virgo e da numerosi telescopi elettromagnetici (dalle onde radio fino agli energetici raggi gamma) in tutto il mondo.
I buchi neri sono tra gli oggetti cosmici più affascinanti e misteriosi. Furono ipotizzati per la prima volta nel 1916, un anno dopo la pubblicazione da parte di Albert Einstein della sua teoria della relatività generale, quando l’astronomo tedesco Karl Schwarzschild presentò la prima soluzione esatta delle equazioni della teoria, note come “equazioni di Einstein”.
Le osservazioni sulle velocità delle galassie raccolte da Edwin Hubble, negli anni Venti dello scorso secolo, hanno dimostrato che il nostro universo non è statico ma in espansione, fornendo una delle prime prove solide a favore della teoria del big bang.