La teoria della relatività generale, pubblicata da Albert Einstein nel 1915, è uno dei capisaldi della fisica moderna. È una teoria che descrive le interazioni gravitazionali, generalizzando e superando la precedente teoria di Isaac Newton, elaborata quasi tre secoli prima.
La relatività generale ha rivoluzionato il concetto di gravità, che con Einstein non è più una forza in grado di propagarsi istantaneamente, come voleva Newton, ma l’effetto della curvatura dello spaziotempo, che si trasforma da semplice palcoscenico ad attore protagonista.
Una rivoluzione, quella di Einstein, che tuttavia non cancella Newton, ma lo completa: in regimi “deboli”, in cui l’interazione gravitazionale non è molto intensa, la gravità di Newton continua infatti a essere un’ottima approssimazione di quella di Einstein.
Nel corso dell’ultimo secolo, la relatività generale ha ricevuto un gran numero di conferme sperimentali, completando un’evoluzione comune a molte teorie rivoluzionarie: dapprima considerata un bizzarro modello matematico senza fini pratici, è diventata presto cruciale per spiegare molti fenomeni astrofisici, fino a essere oggi fondamentale anche per applicazioni quotidiane (basti pensare ai navigatori satellitari, che sarebbero inutilizzabili se non si tenesse conto degli effetti relativistici).
Tra le sue previsioni più spettacolari ci sono fenomeni spesso controintuitivi, come per esempio la dilatazione del tempo in prossimità di un intenso campo gravitazionale, oppure l’effetto noto come “lente gravitazionale”, che prevede la curvatura della luce stellare intorno a oggetti massivi (con conseguente deformazione o moltiplicazione della sorgente agli occhi di un osservatore). Ma le soluzioni delle equazioni della relatività generale hanno previsto anche i buchi neri (anch’essi considerati fino a un certo punto delle semplici curiosità matematiche, ma la cui esistenza in natura è oggi pressoché certa) e le onde gravitazionali, la cui prima storica osservazione nel 2015 ha rappresentato l’ultima conferma in ordine di tempo della teoria forse più iconica della fisica dell’ultimo secolo.
Il modello standard della cosmologia, chiamato anche modello Lambda-CDM, è il più semplice quadro teorico in grado di fornire una buona descrizione di tutti i fenomeni cosmologici osservati con soli 6 parametri liberi.
Quella del Big Bang è la teoria scientifica sull’origine del cosmo attualmente più accreditata: postula che il nostro universo abbia avuto origine circa 13,8 miliardi di anni fa da uno stato estremamente caldo e denso, e che da allora si sia espanso in modo sostanzialmente continuo.
L’universo è costantemente attraversato da particelle elementari e subatomiche, che viaggiano nello lo spazio ad altissima velocità. Molte di queste arrivano sulla Terra, portando con sé informazioni molto preziose sui fenomeni astrofisici che le hanno prodotte.
Le onde gravitazionali sono increspature dello spaziotempo prodotte da grandi masse in moto accelerato nel corso di violenti fenomeni astrofisici, come per esempio eventi di fusione tra coppie di buchi neri o stelle di neutroni.
Il 17 agosto 2017, una coalescenza di stelle di neutroni avvenuta nella galassia NGC 4993 (a circa 130 milioni di anni luce da noi) è stata osservata contemporaneamente dagli osservatori di onde gravitazionali LIGO e Virgo e da numerosi telescopi elettromagnetici (dalle onde radio fino agli energetici raggi gamma) in tutto il mondo.
I buchi neri sono tra gli oggetti cosmici più affascinanti e misteriosi. Furono ipotizzati per la prima volta nel 1916, un anno dopo la pubblicazione da parte di Albert Einstein della sua teoria della relatività generale, quando l’astronomo tedesco Karl Schwarzschild presentò la prima soluzione esatta delle equazioni della teoria, note come “equazioni di Einstein”.
La materia oscura è una forma di materia invisibile ai telescopi, che non emette radiazione elettromagnetica e la cui (presunta) esistenza è oggi rilevabile soltanto in modo indiretto, attraverso i suoi effetti gravitazionali.
Le osservazioni sulle velocità delle galassie raccolte da Edwin Hubble, negli anni Venti dello scorso secolo, hanno dimostrato che il nostro universo non è statico ma in espansione, fornendo una delle prime prove solide a favore della teoria del big bang.