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Il 17 agosto 2017, una coalescenza di stelle di neutroni avvenuta nella galassia NGC 4993 (a circa 130 milioni di anni luce da noi) è stata osservata contemporaneamente dagli osservatori di onde gravitazionali LIGO e Virgo e da numerosi telescopi elettromagnetici (dalle onde radio fino agli energetici raggi gamma) in tutto il mondo. Questo evento, che rimane a tutt’oggi l’unico osservato di questo tipo, è considerato come simbolico della nascita della cosiddetta “astronomia multimessaggera”, ossia un nuovo approccio di esplorazione dell’universo che permette di indagare lo stesso evento astrofisico attraverso diversi messaggeri cosmici, portatori di informazioni differenti e, in molti casi, tra loro complementari.
Un altro esempio di osservazione multimessaggera è arrivato nel settembre 2017, quando l’esperimento IceCube, al Polo Sud, ha rivelato un neutrino cosmico in associazione a fotoni gamma di altissima energia, osservati da diversi telescopi spaziali in raggi gamma, tra cui il Large Area Telescope del satellite Fermi, realizzato dalla NASA e gestito con un’importante partecipazione dell’INFN.
L’osservazione multimessaggera ha permesso di risalire alla sorgente: un blazar, ossia una galassia attiva con al centro un buco nero supermassiccio, distante 4,5 miliardi di anni luce da noi, in direzione della costellazione di Orione.
In futuro, si prevede che osservazioni multimessaggere diventeranno quasi di routine, grazie al potenziamento degli attuali esperimenti e all’arrivo di quelli di nuova generazione. Il futuro osservatorio sotterraneo di onde gravitazionali Einstein Telescope, per esempio, promette di rivelare ogni anno decine o centinaia di eventi di fusione tra stelle di neutroni con controparte elettromagnetica, aprendo la strada a prospettive di ricerca del tutto inedite per la comprensione di numerosi fenomeni cosmici: dalla nucleosintesi degli elementi pesanti fino alla comportamento della materia in condizioni estreme nelle stelle di neutroni, passando per i getti relativistici associati ai lampi di raggi gamma, fino a eventi cosmologici rilevanti.
La teoria della relatività generale, pubblicata da Albert Einstein nel 1915, è uno dei capisaldi della fisica moderna. È una teoria che descrive le interazioni gravitazionali, generalizzando e superando la precedente teoria di Isaac Newton, elaborata quasi tre secoli prima.
Il modello standard della cosmologia, chiamato anche modello Lambda-CDM, è il più semplice quadro teorico in grado di fornire una buona descrizione di tutti i fenomeni cosmologici osservati con soli 6 parametri liberi.
Quella del Big Bang è la teoria scientifica sull’origine del cosmo attualmente più accreditata: postula che il nostro universo abbia avuto origine circa 13,8 miliardi di anni fa da uno stato estremamente caldo e denso, e che da allora si sia espanso in modo sostanzialmente continuo.
L’universo è costantemente attraversato da particelle elementari e subatomiche, che viaggiano nello lo spazio ad altissima velocità. Molte di queste arrivano sulla Terra, portando con sé informazioni molto preziose sui fenomeni astrofisici che le hanno prodotte.
Le onde gravitazionali sono increspature dello spaziotempo prodotte da grandi masse in moto accelerato nel corso di violenti fenomeni astrofisici, come per esempio eventi di fusione tra coppie di buchi neri o stelle di neutroni.
I buchi neri sono tra gli oggetti cosmici più affascinanti e misteriosi. Furono ipotizzati per la prima volta nel 1916, un anno dopo la pubblicazione da parte di Albert Einstein della sua teoria della relatività generale, quando l’astronomo tedesco Karl Schwarzschild presentò la prima soluzione esatta delle equazioni della teoria, note come “equazioni di Einstein”.
La materia oscura è una forma di materia invisibile ai telescopi, che non emette radiazione elettromagnetica e la cui (presunta) esistenza è oggi rilevabile soltanto in modo indiretto, attraverso i suoi effetti gravitazionali.
Le osservazioni sulle velocità delle galassie raccolte da Edwin Hubble, negli anni Venti dello scorso secolo, hanno dimostrato che il nostro universo non è statico ma in espansione, fornendo una delle prime prove solide a favore della teoria del big bang.